(a cura del prof. Giuseppe Morante, Professore di musica e Storico)

Note biografiche su Italo Balbo

Tra tutti i maggiori gerarchi, Balbo fu virtualmente il solo a vivere l'ideale vita fascista: eroica, avventurosa, pronta al sacrificio di sé, patriottica. Grazie alle sue imprese aviatorie godette di notorietà internazionale, la sua fama si estese molto al di là dei confini nazionali. Ebbe l'opportunità di incontrare le maggiori personalità dell'epoca e con le trasvolate emergeva come il diplomatico della nuova generazione fascista. Ovunque andasse raccoglieva giudizi positivi. Il New York Times di lui scrisse: "Brusco eppure affabile, intrepido e arrendevole, non era tipo da passare, comunque, inosservato". Gli Stati Uniti esercitavano su Balbo un fascino particolare, rappresentavano "gli anticipatori geniali del progresso meccanico, l'immensa riserva di ottimismo, di salute, di forza, la garanzia di una pace più stabile" . Italo Balbo nacque a Quartesana il 5 giugno 1896 da una famiglia di origini piemontesi con alle spalle una lunga tradizione militare. Entrambi i genitori erano maestri. Il papà Camillo, di idee liberal-monarchiche, fondò il circolo monarchico "Umberto I". Uomo d'azione, impetuoso, ciò che contava era il fare, l'agire, il muoversi, sparse tale carattere in famiglia, dove forte era il senso dell'ordine, della disciplina, del dovere, dell'energia e del patriottismo. Come figlio minore, Italo era particolarmente affezionato alla madre e alle sorelle. Molti tratti del carattere di Balbo si chiariscono proprio con un incessante rapporto con la madre e con le due sorelle che lo crebbero. Nonostante i genitori maestri e le sorelle Egle e Maria e il fratello Fausto futuri insegnanti, Italo fu per la sua irrequietezza e la poca propensione allo studio sistematico, fondamentalmente fu uno studente mediocre. Giuseppe Massart, che lo aveva avuto compagno di banco in quarta ginnasio, lo ricordava simpatico, generoso con gli amici, sempre pronto ad aiutare, pieno di idee. Egli si distingueva sebbene fosse in una classe certamente speciale, dal momento che tra di loro vi erano Massart, l'industriale Gaggia, il futuro deputato Gorini, Ungarelli, che fu missionario in Amazzonia e vescovo e Timbertelli, che diventerà uno dei maggiori artisti con lo pseudonimo di De Pisis. Più che dagli studi era attratto dalla politica; casa Balbo era spesso teatro di appassionate discussioni politiche. Se Camillo era un convinto liberale, buon monarchico e patriota, i figli avevano posizioni politiche diametralmente opposte. Edmondo diventò un sindacalista rivoluzionario, mentre Fausto era un repubblicano mazziniano. Va anche detto che la passione politica di Italo derivò anche dall'essere cresciuto in Emilia Romagna, dove c'era una tradizione di lunga data di radicalismo politico. Balbo assorbe in pieno la tradizione repubblicana così forte nell'Emilia di quegli anni. I repubblicani venivano considerati estremisti pericolosi, su posizioni di sinistra. Nei loro propositi vi era "il suffragio universale, l'imposta unica e progressiva, la limitazione dell'eredità, l'espropriazione delle terre incolte, le autonomie regionali la laicità dello stato, l'abbandono delle colonie, l'irredentismo e l'uscita dalla Triplice alleanza" . Una minoranza di repubblicani, su posizioni ultramazziniane, anti monarchica e anti clericale, si separò dal partito nel 1911 in occasione della guerra in Libia. Fra questi vi era anche Balbo, che a tal proposito ebbe a dire che era "un figlio del secolo che ci aveva fatti tutti democratici anticlericali e repubblicaneggianti; antiaustriaci e irredentisti esasperati in odio all'asburgo tiranno, bigotto e forcaiolo; adoratori, con le lagrime agli occhi, di una Italia carducciana". Ciò che lo contraddistinse dai suoi amici e che in un certo senso lo rese unico, fu che per tutta la vita si professò repubblicano, sincero sostenitore di Mazzini. Anche da gerarca fascista, professò in diverse occasioni la sua fede nei principi repubblicani. Su tale scelta decisivi furono gli esempi del fratello Fausto da un lato e gli incontri con i capi repubblicani dall'altro. Fausto era un convinto mazziniano. Possedeva l'intera opera di Mazzini e molti altri saggi sul Maestro. Fausto era attratto dal Mazzini teorico, apostolo dell'umanità e della fratellanza. Il Mazzini che insegnava "che la lotta dell'Italia doveva essere di esempio agli altri popoli d'Europa" . Italo era affascinato dal Mazzini "Pensiero e azione". "Mazzini era un rivoluzionario di professione, che aveva dedicato la vita alle insurrezioni e alle rivolte. L'eredità mazziniana in nome del repubblicanesimo includeva le rivoluzioni fallite degli anni 1830 e le rivolte del 1848, il martirio dei fratelli Bandiera e la miracolosa spedizione dei Mille in Sicilia. Questo Mazzini, capo di spedizioni, avventure, rivolte, tutto in nome dell'Italia, era quello che attraeva Balbo" . Questa attrazione verso l'avventura, le spedizioni rivoluzionarie non solo, ma anche verso l'idealismo, Balbo le scoprì tra i repubblicani che si incontravano al caffè Milano, tra i quali vi erano Ricciotti Garibaldi, Felice Albani e Antonio Giusquiano. Balbo esordì, quindi, come repubblicano radicale, mazziniano, nemico della Chiesa e della monarchia. Eppure, prima che morisse, aveva fatto pace con entrambi. Le istituzioni e le ideologie che comunemente associamo al fascismo, vale a dire lo stato totalitario, il corporativismo, il razzismo, gli furono estranee. Più che un teorico fu un uomo d'azione. "Era un uomo gradevole, che ebbe la fortuna di possedere intelligenza, fascino, coraggio, entusiasmo e umanità" . Balbo governatore Oltre a lottare per l'unità amministrativa della colonia, Balbo si impegnò per normalizzare la colonia fisicamente, potenziando la rete di comunicazioni. Nei primi due anni di governatorato, Balbo diede vita a voli giornalieri per Tripoli e voli bisettimanali che congiunsero la Libia all'Egitto e all'Africa occidentale. Non solo, la stessa rete telefonica, in particolar modo in Tripolitania, fu quasi triplicata ed un radiotelefono collegò Roma e Tripoli il 1 aprile 1935. L'opera che diede grandiosità e magnificenza fu la costruzione della Litoranea libica, strada costiera di ben 1.822 chilometri che univa Tunisia ed Egitto. Opera realizzata in poco più di un anno, tra la fine del 1935 e gli inizi del 1937, denominata Balbia dopo la sua morte. Balbo stesso dichiarò che nel "Continente nero nulla di così imponente, di così umanamente grandioso è stato ancora concepito e attuato nelle condizioni di tempo e di luogo" . Le cronistorie del periodo parlavano di una strada completamente nuova, ma realmente dei complessivi 1.822 chilometri ne furono costruiti daccapo solo 799. Esistevano già due tratti: uno univa Zaura e Misurata di 320 chilometri; l'altro di 600 chilometri, collegava Marsa Brega e Tobruch. Il tratto più impegnativo era rappresentato dal deserto della Sirte tra Misurata e Marsa Brega. Alla costruzione dei nuovi tratti stradali, al miglioramento di quelli già adoperabili, vanno aggiunte le costruzioni di 65 case per gli addetti ai lavori. Infine, per celebrare l'opera, non poteva mancare l'edificazione di un immenso arco nel mezzo della Sirte, a un chilometro dalla baia, a Ras Lanuf. Notevoli furono le problematiche tecniche, logistiche e di mano d'opera che tale opera pose. Innanzitutto, la prima priorità fu quella di rifornire in modo adeguato di acqua l'esercito degli operai, prima di tutto durante l'estate 1936. Si cercò di ovviare a tale problema scavando nuovi pozzi e organizzando convogli in modo tale che si ebbero rifornimenti adeguati di acqua fino al completamento dei lavori. Quello della mano d'opera fu un problema spinoso. Il contributo dei lavoratori italiani, nonostante la forte disoccupazione che c'era in Italia, fu di sole 330.000 giornate lavorative. Il motivo era piuttosto comprensibile, essendo la mano d'opera libica molto meno onerosa rispetto a quella italiana. Da parte loro i libici, grazie anche agli appaltatori disposti a pagare un premio se i progetti fossero stati conclusi in tempo, pretendevano salari migliori, ragion per cui Balbo fissò le paghe a un livello oscillante tra la metà e un terzo di quelle italiane. Con la stagione delle piogge, inoltre, di propria iniziativa i libici lasciarono il lavoro per tornare a casa e seminare il raccolto. Per ovviare a questo inconveniente di non poco conto, fu istituito un sistema di licenze organico e vennero organizzati modi di reclutamento e di trasporti nuovi e più celeri. La realizzazione della strada fu un nuovo successo per Balbo. Le 11 imprese che vi lavorarono furono coordinate da 45 funzionari del genio civile, gli operai libici furono 11.000 e quelli italiani 1.000. Essa fu portata a termine con i soli soldi del bilancio coloniale. L'aver suddiviso il progetto in ben sedici segmenti e l'aver invitato a parteciparvi un gran numero di imprenditori, comportò che fu abbastanza veloce l'esecuzione dei lavori e più basso il potenziale prezzo fissato dai partecipanti alla gara. Secondo Tommaso Lazzari, alto funzionario del Ministero delle finanze, Balbo aveva operato "un miracolo di saggezza tecnica, finanziaria e amministrativa". All'inaugurazione della litoranea, oltre al duce, ci furono tantissimi giornalisti e scrittori, tra cui Ugo Ojetti, Emilio Cecchi, Nello Quilici, Enrico Mattei, Ardengo Soffici, Massimo Bontempelli, Tommaso Filippo Marinetti. Quest'ultimo, per l'occasione, scrisse la Poesia simultanea della litoranea vestita di ruote e la Poesia simultanea della litoranea abbeveratorio di velocità. Per usare un eufemismo, possiamo affermare che il regime tedesco stava poco o nulla simpatico a Balbo, che non approvava per nulla la sua politica razzista opponendosi con fermezza al regime fascista quando ci si avviò nella stessa direzione. Espresse con chiarezza il suo pensiero durante una visita del re in Libia nel maggio del '38: "Io sono qui in Africa, ma m'arrivano cetre notizie sugli ebrei. Non faremo certo l'imitazione dei tedeschi" . A Ferrara dove Balbo era cresciuto e si era avviato alla politica, gli ebrei avevano raggiunto posizioni di preminenza e prestigio e molti di essi erano suoi amici e furono fra i primi squadristi e finanziatori. Basta ricordare che prima delle leggi razziali, ebrei erano il podestà Renzo Ravenna, intimo amico di Balbo, il segretario capo della provincia, il giudice istruttore del tribunale, due presidi di liceo, ecc. Molti dei collaboratori del Corriere padano come Bassani erano ebrei. A Tel Aviv guardavano con compiacimento l'atteggiamento di Balbo contro il crescente antisemitismo. Addirittura un sacerdote nazista e un giornale ebraico asserirono che lo stesso Balbo era ebreo. Fu grazie a Balbo, appoggiato dai soli De Bono e Federzoni nella riunione del Gran Consiglio del 6 - 7 ottobre, se ci fu una attenuazione dei provvedimenti, se ne vennero escluse le famiglie degli ebrei decorati in guerra. La sera successiva ad Udine, ancora visibilmente turbato, ebbe a dire in famiglia: "Ma ci pensate che i figli di Renzo (Ravenna) non possono essere come i miei". Comunque, Balbo "Il risultato maggiore della sua opposizione lo ottenne proprio in Libia: il 19 gennaio 1939 scrisse a Mussolini una lettera, lunghissima e circostanziata, in difesa degli ebrei libici, che nella sola Tripoli erano un quinto della popolazione. Non trascurò niente per convincere Mussolini a concedergli quanto chiedeva: "Fina dai tempi di Augusto goderono la protezione dei romani," scrisse. "Anche prima dell'occupazione italiana si ritennero protetti dall'Italia, fondarono scuole e diffusero la nostra lingua. (…) Si tratta per lo più di uomini tranquilli, pavidi, che vivono nelle loro bottegucce…" quelli facoltosi sono poche decine, dice, e la loro estromissione improvvisa "provocherebbe sicuri squilibri nella vita economica della Libia". In particolare chiede che gli ebrei possano continuare a prestare servizio negli ospedali, che possano continuare a lavorare per il monopolio dei tabacchi e nei municipi" . Grazie a tali risultati, in Libia gli ebrei, i contadini e perfino i gerarchi vivevano meglio che in Italia. Balbo e la sua famiglia ebbero continuamente comportamenti di sostegno verso gli ebrei, sostenendoli in ogni modo possibile. Mussolini diverso tempo dopo la morte di Balbo, ammise che Italo con grande coraggio e onestà si era espresso contro le leggi razziali. "Le difese con grande coraggio. Nessuno poté torcere un capello del Commendator Ravenna", disse. L'enorme diffusione del volo umano, le linee internazionali e quelle a basso costo ci consentono di ammirare quanto sia stata considerevole l'intuizione geniale di Balbo, cioè di aver capito con largo anticipo che il volo sarebbe stato alla portata di tutti soltanto pianificandolo non come impresa eroica di pochi ardimentosi, ma come prassi quotidiana per uomini comuni che possono volare tranquilli, sicuri di una perfetta organizzazione a terra come in cielo. Quale governatore della Libia, anche alla luce degli avvenimenti odierni, senza minimamente ridare valore al colonialismo o di screditare la decolonizzazione, Balbo seppe intuire con grande anticipo i problemi che sarebbero sorti nelle società multirazziali, multiculturali, multireligiose. Modernizzatore e innovatore, fascista passato a un liberalismo autoritario, unico fra i gerarchi che preferiva gli Stati Uniti alla Germania, o alla Francia, o alla Gran Bretagna, e unico a opporsi concretamente alle leggi razziali, "tutto ciò non basta a mettere Balbo nel Pantheon dei grandi italiani del Novecento, zavorrato com'è dalla responsabilità di avere "inventato", ovvero organizzato, lo squadrismo fascista e di avere contribuito più di tutti a portare Mussolini al potere" .

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